Le tre fiere: la lonza, il leone e la lupa, riflessione di attualità sulla Divina Commedia


Ciao, vi propongo una nuova riflessione sulle figure della lonza, del leone e della lupa nella Divina Commedia di Dante Alighieri. Spero vi piaccia!

Grazie.



Nel primo canto dell’Inferno Dante, mentre inizia a risalire un colle, incontra tre bestie feroci che  ostacolano il suo viaggio verso la salvezza. Già i commentatori più antichi del poema dantesco identificavano la lonza, il leone e la lupa come allegorie di tre tra i principali peccanti capitali della religione cattolica, rispettivamente della lussuria, della superbia e della cupidigia. Altri hanno voluto associare le tre bestie anche ai poteri politici dell’epoca: i comuni, l’Impero e il Papato ma certamente Dante ha ripreso l’allegoria delle fiere da alcuni passi biblici del profeta Geremia e da una vasta e consolidata cultura medievale che associava alle varie bestie del creato (creature viventi reali o immaginarie) una serie di precisi elementi morali e teologici.
E’ la consapevolezza di una crisi personale e morale, diremmo oggi “esistenziale”, in un contesto di crisi politica e sociale che spinge Dante a ricercare la salvezza lungo un percorso pieno di ostacoli. Egli intende ritrovare la retta via e il bene attraverso un percorso di crescita e di conoscenza, raggiungendo la verità grazie all’uso della ragione e delle sacre scritture. Dante crede che la propria esperienza possa essere di esempio e di utilità per tutti per uscire da una condizione di ignoranza, di immoralità e di schiavitù.
Dante era un uomo profondamente e autenticamente cristiano, permeato di una cultura e di un’identità che considerava certezze indiscutibili: la filosofia e la teologia della Chiesa. In tale contesto ogni comportamento personale ma anche politico o istituzionale che contrastasse gli insegnamenti della religione veniva considerato peccato o comunque atto immorale che allontanava la società da una condizione di concordia e di pace. Lussuria, superbia e cupidigia sono ai tempi di Dante indiscutibilmente dei vizi, tentazioni che conducono l’uomo al peccato ed alla degradazione ma che, solleticandone istinti e passioni, spesso prevalgono.
Per Dante l’uomo non è davvero libero e felice se non riconosce i propri limiti e si affida alla propria ragione ed alla teologia.
Dai tempi di Dante l’uomo non è cambiato e ancora oggi ci poniamo gli stessi interrogativi  ricercando modelli sociali e morali che migliorino l’esistenza materiale e spirituale di tutti e, mai come oggi, vi è una disperata ricerca della felicità.Oggi 
la nostra società non rappresenta più quel modello di coesione culturale e religiosa che era l’Italia del medioevo e possiamo dire che non esiste un modello di sistema morale condiviso; viviamo in una società “liquida” non solo a livello globale ma perfino all’interno di territori circoscritti in cui tendono a coesistere differenti (anche molto differenti) culture, morali e valori a cui la modernità tende ad attribuire pari dignità.Queste considerazioni nascono anch’esse come conseguenza di una mia morale, di una mia visione di ciò che è giusto e sbagliato.
Oggi non abbiamo più un insegnamento condiviso che ci dica cosa è giusto o sbagliato, anche il valore delle leggi è messo continuamente in discussione e perfino il valore della vita ha perso la sua inviolabilità. 
Viviamo una condizione di crisi permanente che mette tutto continuativamente in discussione e avremmo ancora bisogno  di un centro di gravità, di un riferimento indiscutibile, ma abbiamo solo la nostra razionalità limitata,  una coscienza interiore, che ci aiuta, come Virgilio aiuta Dante, a distinguere sempre nel nostro profondo il Bene dal Male.  Le crisi ci spingono e ci sollecitano al cambiamento, a rimettere in discussione le nostre verità, a riaprire cassetti chiusi, a rimetterci in viaggio come Dante con umiltà, a confrontarci, ad ascoltarci e ad ascoltare. L’ignavia e l’immobilismo spesso ci ostacolano ma siamo sempre chiamati a scegliere, a schierarci, a decidere cosa fare e ad agire. Non è la strada più semplice e breve ma è l’unica che possiamo percorrere per non autodistruggerci e per conservare il senso e la ragione della nostra esistenza.
La modernità intesa come assoluto affermarsi della razionalità, della fiducia nel progresso tecnologico e del materialismo ha creato le condizioni per un grande sviluppo economico e la diffusa e crescente consapevolezza che la scienza e la ragione umana siano in grado di spiegare la realtà e di identificare cosa sia bene o male.  L’assenza di una morale collettiva condivisa e l’impossibilità filosofica o teologica di stabilire cosa sia vero e giusto consente ad ognuno di farsi la propria morale e di decidere a quale modello, maestro o filosofia affidarsi giustificandosi ed assolvendosi senza problemi in caso di danni collaterali, senza altri limiti che i propri. Grandi interessi economici e nuove ideologie hanno creato nuovi dei e nuove utopie, ci si è serviti spesso della scienza per dimostrarne l’ inconfutabile veridicità e la storia recente ancora porta i segni delle tragedie che ne sono scaturite. 
Oggi i tre vizi rappresentati da Dante con le tre bestie possono perdere un significato assoluto di negatività ed anzi paradossalmente e progressivamente hanno assunto invece un valore positivo, utili strumenti per un fine superiore. La lussuria ad esempio, intesa come incontinenza della passione erotica, sesso veloce senza sentimento e reticenze finalizzato ad un semplice piacere fisico in cui non trova spazio l’amore, è probabilmente il principale modello di comportamento tra sessi che ci viene proposto e sembra essere considerato un comportamento “libero” e moderno, indice di apertura mentale e la pornografia è quasi considerata strumento educativo e terapeutico.
La superbia, affermazione spudorata della propria vera o presunta superiorità e la ricerca ad ogni costo del conseguente riconoscimento non è oggi considerata di fatto un disvalore. La ricerca del successo richiede che si “creda” in se stessi e nella superiorità delle proprie verità, nel senso che se qualcuno minaccia la nostra possibilità di emergere o la nostra posizione è giusto difendersi ed usare i mezzi necessari per non farsi “prevaricare” e che, come in natura, il più forte prevalga.
La cupidigia poi, intesa come brama di potere e di ricchezze, desiderio di migliorare senza limiti la propria condizione materiale, sembra essere la condizione necessaria per avere successo anche usando inganno e frode. 
Paradossalmente sembra quindi che i tre vizi di Dante siano oggi utili strumenti e comportamenti per raggiungere la “felicità”, come comunemente intesa oggi. 
Per Dante i tre vizi erano una condizione di bestialità, frutto delle passioni incontrollate dell’uomo che non usa la ragione, portando l’uomo e la società alla rovina; oggi rischiano di essere considerati (descritti e chiamati in altri termini) condizioni per ottenere sesso, soldi e successo e sono anche considerati meccanismi utili alla crescita economica.

Grazie a tutti per la lettura. Cosa ne pensate? Se vi è piaciuto commentate!!
A presto!☺

A.



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